Verso una terapia per migliorare il sonno della popolazione anziana?
È noto a tutti che la qualità e la quantità del sonno diminuiscono con l’avanzare dell’età, e che insonnia e frammentazione del sonno sono comuni all’interno della popolazione anziana (Kocevska et al, 2021; Mander et al, 2017).
Il sonno è una funzione essenziale per la qualità della vita, e ad ogni età la deprivazione cronica di sonno causa alterazioni importanti, tra cui declino delle funzioni cognitive e della memoria (Lowe at al, 2017).
Analogamente, i disturbi del sonno negli anziani sono associati ad un rischio aumentato di disfunzioni, sia fisiche che mentali, e ad un aumento della mortalità (Foley at al, 1995). Anche se la frammentazione del sonno è il disturbo più frequentemente lamentato dalla popolazione anziana, i meccanismi che ne sono alla base rimangono, ad oggi, in larga parte sconosciuti. Capire perché il cervello anziano diventa incapace di produrre un sonno consolidato rappresenta però un passaggio indispensabile verso l’individuazione di terapie che possano migliorare il sonno in questa fase della vita.
Lo studio empirico
Un passo importante in questa direzione è rappresentato dai risultati della ricerca condotta alla Stanford University (USA) dal gruppo coordinato da Prof. Luis De Lecea (Li et al, 2022), i cui risultati sono stati pubblicati quest’anno sulla prestigiosa rivista Science.
I ricercatori hanno condotto i loro esperimenti su topi. L’alterazione del sonno legata all’età è infatti un fenomeno ampiamente condiviso da numerose specie animali, tra cui appunto il topo, indicando come i meccanismi che la determinano risultino altamente conservati durante la filogenesi.
Gli Autori hanno esplorato l’ipotesi che il declino della qualità del sonno con l’età sia dovuto ad un malfunzionamento dei circuiti nervosi implicati nel controllo del ciclo veglia-sonno. In questi circuiti, un ruolo importante è svolto da una piccola popolazione di neuroni ipotalamici, i neuroni orexinergici. L’attività di questi neuroni è strettamente associata al mantenimento della veglia, promuovendo e mantenendo questo stato. I ricercatori hanno quindi voluto verificare se l’invecchiamento altera l’eccitabilità intrinseca dei neuroni orexinergici, determinando una compromissione del normale controllo del ciclo veglia-sonno.
I topi anziani studiati da De Lecea presentavano, come aspettato, un sonno frammentato. Gli Autori hanno rilevato che in questi animali i neuroni orexinenrgici erano in numero significativamente minore rispetto agli animali più giovani, ma presentavano episodi di scarica spontanea più frequenti, che inducevano la comparsa di episodi di veglia e disturbavano la continuità del sonno.
Un aspetto importante di questo lavoro è rappresentato dalla capacità degli Autori di manipolazione sperimentalmente dell’attività dei neuroni orexinengici. Quando i ricercatori stimolavano, tramite tecniche optogenetiche, i neuroni orexinergici, nei topi anziani comparivano episodi di veglia significativamente più lunghi di quelli indotti nei topi giovani, suggerendo che questi neuroni divengano ipereccitabili con l’avanzare dell’età. I neuroni orexinengici dei topi anziani presentavano un’alterazione della carica elettrica della membrana cellulare (potenziale di membrana a riposo) tale da rendere più facile il raggiungimento dei livelli necessari ad indurre la scarica neuronale.
In particolare, nei topi anziani è stata rilevata una riduzione funzionale di una corrente di potassio mediata da specifici canali di membrana, i canali KCNQ2/3, accompagnata anche da una perdita anatomica di tali canali.
L’importanza di questi canali nel determinare l’alterazione del sonno è stata confermata tramite la loro manipolazione genetica e farmacologica. Infatti, l’eliminazione nei neuroni orexinergici dei geni che codificano questi canali è sufficiente a generare nei topi giovani gli aspetti di frammentazione del sonno caratteristici degli anziani; di converso, l’incremento prodotto farmacologicamente (mediante somministrazione di flupirtina) della corrente di potassio attraverso i canali KCNQ2/3 ripristina i normali livelli di potenziale di membrana a riposo, sopprime le scariche di attività spontanea dei neuroni orexinergici, e consolida la stabilità del sonno nei topi anziani. Si può dire, quindi, che questa terapia farmacologica “ringiovanisce” la struttura del sonno.
La possibilità di manipolare efficacemente la funzionalità dei canali KCNQ2/3 nei topi anziani, ripristinando una normale continuità del sonno, potrebbe, in prospettiva, rappresentare una strategia terapeutica traslazionale per il miglioramento della qualità del sonno nella popolazione anziana.
Giovanna Zoccoli, Commissione Divulgazione AIMS
Riferimenti Bibliografici
Kocevska D, Lysen TS, Dotinga A, et al. (2021) Sleep characteristics across the lifespan in 1.1 million people from the Netherlands, United Kingdom and United States: a systematic review and meta-analysis. Nat Hum Behav. 5:113-122. doi: 10.1038/s41562-020-00965-x.
Mander BA, Winer JR, Walker MP. (2017) Sleep and Human Aging. Neuron. 5;94(1):19-36. doi: 10.1016/j.neuron.2017.02.004.
Lowe CJ, Safati A, Hall PA. (2017) The neurocognitive consequences of sleep restriction: A meta-analytic review. Neurosci Biobehav Rev. 80:586-604. doi: 10.1016/j.neubiorev.2017.07.010.
Foley DJ, Monjan AA, Brown SL, et al. (1995) Sleep complaints among elderly persons: an epidemiologic study of three communities. Sleep. 18:425-32. doi: 10.1093/sleep/18.6.425
Li SB, Damonte VM, Chen C, et al (2022) Hyperexcitable arousal circuits drive sleep instability during aging. Science. 2022 25;375(6583):eabh3021. doi: 10.1126/science.abh3021
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