In pensione si dorme di più, ma non dappertutto

20 Gen 2020 ARTICOLI

Una volta andati in pensione si dorme di più?

Esperti statunitensi e cinesi hanno collaborato a un’indagine, pubblicata recentemente sul Journal of Sleep Research, che ha valutato l’andamento del sonno in pensionati in Cina.  I risultati hanno indicato che dopo il pensionamento, la durata del sonno aumenta, ma in misura minore di quanto avviene nei Paesi occidentali.

Molti dati concordano nell’indicare che l’andata in pensione rappresenta una delle transizioni più importanti nella vita e che può avere un impatto significativo sulla salute. L’aumento della durata del sonno è considerato uno dei fattori che possono influenzare negativamente la salute dal pensionamento in poi. Numerose ricerche hanno studiato i cambiamenti di vari aspetti del sonno in cittadini di Paesi occidentali passati dal lavoro attivo alla pensione.

Lo studio

Si è osservato che: i pensionati dormono di più, vanno a letto più tardi, si svegliano più tardi e tendono a fare più sonnellini durante il giorno. Jing e colleghi hanno valutato le modificazioni della durata del sonno dopo il pensionamento, usando dati ricavati da uno studio longitudinale eseguito in Cina (China Health and Retirement Longitudinal Study).

In particolare sono stati utilizzati quelli relativi agli anni 2011, 2013 e 2015, che riguardavano un totale di 48.458 persone che hanno risposto a un questionario. Sono stati analizzati i seguenti aspetti del sonno: durata totale del sonno, durata del sonno notturno e sonnellini diurni. L’analisi statistica è stata eseguita con una regressione lineare con equazioni di stima generalizzate. Lo scopo è stato evidenziare le modificazioni della durata del sonno, dopo il passaggio da attività lavorative di diverso tipo alla pensione.

Dopo avere applicato nell’analisi opportuni metodi per ridurre l’effetto di possibili fattori confondenti, si è osservato che, nel settore dell’agricoltura, i soggetti attivi e quelli in pensione dormivano, rispettivamente, 5.19 e 8.02 minuti in più, in confronto con lavoratori attivi e pensionati di attività non agricole. Per ambedue i dati, la differenza è stata statisticamente significativa (p<0.01).

Anche la transizione verso il lavoro ha avuto effetti significativi sulla durata del sonno. Tornando al passaggio dall’attività lavorativa al pensionamento, ma in ambiti lavorativi non agricoli, si è rilevato un aumento della durata totale del sonno di 13.58 minuti (p<0.01) e un incremento del 18% (rapporto di probabilità=1.18; p<0.01) della probabilità di fare sonnellini diurni.

Da notare che il passaggio dal lavoro agricolo al pensionamento non ha modificato in maniera significativa il tempo di sonno totale. Diversamente, ha aumentato significativamente la probabilità di fare sonnellini diurni (rapporto di probabilità=1.12; p=0.02). Un ulteriore aspetto analizzato è stato quello del reinserimento nel lavoro dei pensionati in settori non agricoli. Tale transizione non ha cambiato significativamente la durata del sonno notturno, mentre ha ridotto la frequenza di sonnellini diurni (rapporto di probabilità=0.73; p<0.01) e, di 5.26 minuti, la durata dei sonnellini stessi (p=0.01).

Conclusioni

Gli autori, nelle conclusioni, sottolineano che nei lavoratori cinesi che vanno in pensione aumenta la durata del sonno, ma in misura minore di quanto rilevato nei Paesi occidentali.

Le differenze fra tali andamenti possono essere attribuite a vari fattori peculiari della realtà cinese: la grande quantità di lavoratori dell’agricoltura presenti nel Paese, l’ampio numero di persone che dalla pensione rientrano nella vita attiva e l’abitudine consolidata a fare sonnellini diurni, a prescindere che si lavori o si sia in pensione. 

Dunque, se è vero che in pensione si dorme di più, non è vero che questo si verifica in ogni parte del mondo.                    

Parole chiave: lavoro, pensione, pensionamento, durata del sonno, sonnellini, sonno diurno, sonno notturno, lavori agricoli. 

Tommaso Sacco, comitato editoriale AIMS

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