I benefici dello smart working sul sonno dei “GUFI”

Sin dai primi mesi del 2020, la pandemia da COVID-19 ha interferito pervasivamente con la quotidianità della popolazione italiana. Tra i tanti ambiti colpiti, l’emergenza sanitaria ha travolto radicalmente il mercato del lavoro. Per far fronte alle varie ondate di contagi, milioni di Italiani sono stati sottoposti a misure straordinarie al fine di garantire continuità alla propria attività lavorativa. La maniera privilegiata per affrontare il periodo di crisi è stata una rapida transizione su larga scala allo smart working. Lavorare da casa garantisce maggiore flessibilità degli orari lavorativi, permettendo una migliore organizzazione delle attività quotidiane, ed in particolare del sonno. Infatti, studi condotti durante il primo periodo di lockdown hanno dimostrato come il lavoro agile fosse associato a una maggiore durata di sonno, e a un posticipo generale degli orari di addormentamento e risveglio (Leone et al., 2020, Salfi et al., 2021).

I benefici dello smart working potrebbero però non coinvolgere tutti i lavoratori allo stesso modo, interessando preferenzialmente i cosiddetti “gufi”. Le persone con cronotipo serotino, ovvero coloro che preferiscono andare a letto e svegliarsi più tardi, rappresentano all’incirca il 10-20% della popolazione generale. In una società tipicamente orientata alla mattutinità, questo gruppo è notoriamente caratterizzato da una ridotta durata di sonno nei giorni lavorativi e problemi di insonnia e salute mentale dovuti al disallineamento tra il proprio orologio circadiano e i ritmi socio-lavorativi (Adan et al., 2012).

In quest’ottica, la transizione verso lo smart working ha rappresentato un enorme laboratorio a cielo aperto per studiare le conseguenze di una modalità di lavoro più flessibile sul benessere del sonno della popolazione italiana, con particolare attenzione alla categoria dei “gufi”.

Uno studio italiano (Salfi et al., 2022) pubblicato sulla rivista Scientific Reports (giornale internazionale peer-reviewed del gruppo Nature) ha affrontato proprio questo tema. La ricerca è stata condotta dal Laboratorio di Psicofisiologia del Sonno e Neuroscienze Cognitive dell’Università degli Studi dell’Aquila nel mese di dicembre 2020, durante la seconda ondata di contagi da COVID-19. Nello studio, un gruppo di 875 lavoratori italiani ha risposto ad una serie di questionari validati volti a misurare il cronotipo (Morningness-Eveningness Questionnaire-versione ridotta, MEQr), la qualità/durata del sonno (Pittsburgh Sleep Quality Index, PSQI), i sintomi di insonnia (Insomnia Severity Index, ISI) e la sintomatologia depressiva (Beck Depression Inventory-seconda edizione, BDI-II).

I risultati dello studio hanno dimostrato che la caratteristica tendenza dei “gufi” a dormire meno e ad esperire sintomi di insonnia sia riscontrabile solo nel gruppo di lavoratori in presenza (il 70% dei partecipanti). D’altro canto, la storica vulnerabilità ai problemi di sonno delle persone serotine spariva nel gruppo di lavoratori da casa, che mostravano un posticipo generale dei periodi di addormentamento e risveglio, con risvolti favorevoli persino sulla sintomatologia depressiva.

Lo studio ha evidenziato perciò come lo smart working possa costituire la modalità lavorativa ideale per promuovere un’adeguata durata e qualità del sonno, e ridurre i problemi di insonnia e depressione tra le persone serotine. Questi risultati si uniscono ad una crescente letteratura scientifica (Juda et al., 2013; Vetter et al., 2015) che suggerisce come orari di lavoro che assecondino e rispettino il cronotipo individuale possano garantire a tutti i lavoratori eguali opportunità di sonno, promuovendone il benessere generale. Ciò potrebbe tra l’altro avere risvolti positivi nei confronti della produttività, poiché sono molti gli studi che hanno dimostrato come una scarsa durata/qualità del sonno influenzi negativamente sia la performance che la soddisfazione sul posto di lavoro (Barnes & Watson, 2019).

La graduale mitigazione dell’emergenza sanitaria sta portando i lavoratori a riprendere la loro routine pre-pandemica. I risultati della ricerca dovrebbero essere tenuti in considerazione nella progettazione di politiche lavorative di smart working sia nell’immediato, che, forse ancor più importante, nell’era post-covid.

Federico Salfi, socio AIMS

Riferimenti bibliografici

Leone M.J., Sigman M. & Golombek D.A. (2020) Effects of lockdown on human sleep and chronotype during the COVID-19 pandemic. Curr. Biol. 30, R930–R931, https://doi.org/10.1016/j.cub.2020.07.015.

Salfi F., Lauriola M., D’Atri A. et al. (2021) Demographic, psychological, chronobiological, and work-related predictors of sleep disturbances during the COVID-19 lockdown in Italy. Sci. Rep. 11, 11416, https://doi.org/10.1038/s41598-021-90993-y.

Adan A., Archer S.N., Hidalgo M.P. et al. (2012) Circadian typology: a comprehensive review. Chronobiol. Int. 29,1153–1175, https://doi.org/10.3109/07420528.2012.719971.

Salfi F., D’Atri A., Amicucci G. et al. (2022) The fall of vulnerability to sleep disturbances in evening chronotypes when working from home and its implications for depression. Sci. Rep. 12, 12249, https://doi.org/10.1038/s41598-022-16256-6.

Juda M., Vetter C. & Roenneberg T. (2013) Chronotype modulates sleep duration, sleep quality, and social jet lag in shift-workers. J. Biol. Rhythms 28, 141–151, https://doi.org/10.1177/0748730412475042.

Vetter C., Fischer D., Matera J.L. & Roenneberg T. (2015) Aligning work and circadian time in shift workers improves sleep and reduces circadian disruption. Curr. Biol. 25, 907–911, https://doi.org/10.1016/j.cub.2015.01.064.

Barnes C.M. & Watson N.F. (2019) Why healthy sleep is good for business. Sleep Med. Rev. 47, 112–118, https://doi.org/10.1016/j.smrv.2019.07.005.

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