Sonno e Psicosi: quale relazione?
Anna Castelnovo, Comitato Editoriale AIMS
Sonno e Psicosi: quale relazione?
Come per tutti i disturbi psichiatrici, il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) basa la diagnosi di Schizofrenia e dello spettro psicotico più in generale su criteri clinici descrittivi, legati ad una osservazione trasversale di questi disturbi. Nonostante il sonno non sia incluso tra i sintomi classici caratterizzanti la Schizofrenia, quali deliri, allucinazioni, disorganizzazione ideo-motoria, isolamento sociale, apatia e abulia, un’alterazione del sonno è quasi sempre presente ed accompagna questo disturbo in tutte le sue fasi, sin dalle sue primissime manifestazioni, se non dai suoi stessi prodromi. Diversi studi hanno mostrato che il sonno rappresenta un campanello di allarme predittivo per l’esordio di un disturbo conclamato in soggetti a rischio e di ricaduta nei soggetti che ne soffrono cronicamente. In cosiderazione del fatto che diagnosi e trattamento precoce del disturbo e delle sue ricadute rimangono al oggi i fattori prognostici più importanti nel ridurre la disabilità cronica che frequentemente si associa a questi disturbi, è facilmente comprensibile come una maggiore attenzione al sonno in questa categoria di pazienti possa rappresentare un prezioso ausilio clinico. Non bisogna dunque mai sottovalutare la presenza di problematiche soggettive ed oggettive del sonno in adolescenti, ragazzi, giovani adulti, specialmente se associati a disagio psicologico e ad un progressivo disadattamento sociale.
La relazione tra disturbi del sonno e psicosi è bidirezionale. Il disturbo in sè (o il suo trattamento) può causare disturbi del sonno, e viceversa, la presenza di disturbi del sonno può esacerbare le manifestazioni cliniche del disturbo psichiatrico, tra cui il funzionamento sociale, l’umore, le capacità cognitive, ma anche le allucinazioni e i deliri. Sebbene i disturbi psicotici siano stati tradizionalmente associati a una disregolazione del sistema dopaminergico, un nuovo e sempre più consistente filone di ricerca sta ponendo l’accento sulla concettualizzazione della schizofrenia come una patologia legata ad una anomale connettività tra le varie aree cerebrali e da una alterata neuroplasticità, modello che ben si interseca con la possibilità che il sonno ruoli un gioco importante se non cruciale in questo disturbo. Come evidenziato da una recente meta-analisi, i disturbi del sonno nei pazienti psicotici sono trattabili ed il loro trattamento porta ad un significativo beneficio in termini di miglioramento della qualità di vita dei pazienti e potenzialmente anche ad un modesto miglioramento della sintomatologia psicotica. Inoltre, essendo i disturbi del sonno riconosciuti spesso come un problema dagli stessi pazienti (a differenza di deliri e allucinazioni di cui per definizione sono quasi sempre acritici), la cura dei disturbi del sonno può rappresentare un’utile strategia per agganciare i pazienti e favorire la loro adesione alle cure.
Il sonno viene spesso riconosciuto soggettivamente alterato dai pazienti. A livello oggettivo, polisonnografico, il dato di un’alterazione macroarchitetturale del sonno con un ridotto tempo di sonno notturno, una aumentata latenza del sonno, un’incrementato tempo di veglia infra-sonno, una ridotta efficienza del sonno, una riduzione del sonno ad onde lente e, in minor misura, una ridotta durata e della latenza del sonno REM è ormai supportata da numerose revisioni sistematiche e meta-analisi. Molti dati suggeriscono alche la presenza di alterazioni microarchitetturali, quali una diversa rappresentazione, morfologia e distribuzione dei fusi del sonno e delle onde lente. Tuttavia, il crescente interesse a livello scientifico e di ricerca rispetto alle alterazioni del sonno, al loro ruolo nella comprensione dei meccanismi patogenetici del disturbo e ai risvolti funzionali di queste alterazioni, non si è tradotto in una reale acquisizione ed utilizzo di questi concetti a livello di routine clinica. Uno studio basato su interviste diagnostiche, diari del sonno e registrazioni actigrafiche in un ampio gruppo di soggetti affetti da disturbi dello spettro psicotico ha mostrato che l’80% dei pazienti psicotici soffre di disturbi del sonno di varia natura, tra cui i più frequenti sono l’insonnia e il disturbo da incubi notturni. Nonostante ciò, e nonostante mediamente gli psichiatri riconoscano l’associazione tra disturbi del sonno e psicosi a livello di nozione concettuale, un’altro studio ha messo in luce che circa l’80% degli psichiatri valuta i problemi del sonno in modo informale piuttosto che valutazioni standardizzate e non considera il sonno come un target trattabile e meritevole di indicazioni specifiche. In una coorte di soggetti all’esordio di malattia, la metà con svariate ed accertate diagnosi sonnologiche, solo un quarto ha ricevuto una terapia, e meno del 10% una terapia adeguata rispetto alle linee guida.
Disturbi del movimento in sonno
Insonnia
Un corretto approccio al trattamento dell’insonnia nei pazienti psicotici inizia da una corretta diagnosi differenziale, spesso difficile a causa di diversi fattori di confondimento, quali l’effetto collaterale dei farmaci e le difficoltà comunicative presenti in molti pazienti a causa del loro disturbo psicotico. In secondo luogo va valutata la terapia farmacologica in atto e l’aderenza al trattamento. Una volta identificati e trattati eventuali disturbi del sonno comorbidi, diventano importanti, come nei soggetti sani, l’aspetto psico-educativo e la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (CBT-i), ed in ultima analisi, la terapia farmacologica. Sono in corso diversi studi per valutare l’efficacia della CBT-i nei pazienti affetti da disturbi psicotici. Nel 2011 è stato pubblicato il primo open-trial su 15 pazienti psicotici (senza gruppo di controllo). È seguito nel 2015 un piccolo studio pilota di fattibilità, controllato ed in cieco, su 24 pazienti, con risultati incoraggianti. L’efficacia della CBT-i è stata testata anche nel contesto di ricovero ospedaliero in ambito psichiatrico, in un campione misto dal punto di vista di criteri diagnostici. Uno studio in doppio cieco non randomizzato su 63 soggetti ha recentemente confermato l’efficacia dell’approccio CBT-i nel trattamento dell’insonnia nei disturbi psicotici. L’eventuale specificità dei protocolli in questo campione di soggetti deve ancora essere definita. Non ci sono linee guida basate sulle evidenze rispetto alla terapia farmacologica. Non ci sono farmaci approvati in modo specifico per il trattamento dell’insonnia nei disturbi psicotici. L’utilizzo dei farmaci antipscotici è molto dibattuto, ma la maggioranza degli studi supportail ruolo di queste molecole nel migliorare, se non l’insonnia, la qualità soggettiva ed oggettiva del sonno (in termini di tempo totale e di efficienza del sonno) di questi pazienti. I farmaci antipsicotici possono portare a un miglioramento indiretto dell’insonnia grazie alla riduzione dei sintomi allucinatori e deliranti con conseguente riduzione dello stato di iperallerta secondario a questi ultimi. La selezione di farmaci ad effetto più sedativo, con una importante componente recettoriale istaminergica, potrebbe avere inoltre un’azione più diretta sul sonno. L’utilizzo degli antipsicotici ad azione più sedativa potrebbe, in linea teorica, permettere di mantenere una monoterapia favorendo l’aderenza al trattamento. Tuttavia esistono solo evidenze limitate in questa direzione, in particolare per l’Olanzapina ed il Risperidone e forse del suo metabolita Paliperidone, che sembrano anche avenre un maggiore impatto sulla quantità del sonno ad onde lente. Ovviamente diventano in questo caso critici il dosaggio e gli orari di somministrazione, per evitare un’eccessiva sedazione diurna (particolarmente con Clozapina, Olanzapina e Questiapina) e garantire un corretto bilanciamento con l’azione antipsicotica primaria e gli altri effetti collaterali.
Disturbi respiratori in sonno
Il tasso di obesità e di sindrome metabolica è nettamente aumentato nei pazienti psicotici, principalmente come consequenza dell’incremento di appetito indotto dai farmaci antipsicotici di seconda generazione, dall’inattività fisica e dalla difficoltà di quesit pazienti a seguire una dieta controllata. Dal momento che uno dei fattori di rischio principali per lo sviluppo di apnee è l’obesità, ci si aspetterebbe a livello teorico di riscontrare un tasso aumentato di apnee nella popolazione psicotica. Nella realtà dei fatti, una recente revisione della letteratura ha mostrato una scarsità di dati qualitativamente adeguati, anche se le evidenze disponibili convergono nel suggerire un’aumentata prevalenza di disturbi respiratori apnoici-ipopnoici in sonno e una forte tendenza alla sottovalutazione del problema da parte dei clinici. Quest’ultima è in parte legata alla scarsa diffusione culturale rispetto all’improtanza dei disturbi del sonno nelle patologie psichiatriche, in parte forse anche alla maggiore difficoltà che pone questa popolazione di soggetti a livello di screening diagnostico. È spesso molto difficile per i pazienti distinguere tra fatica, stanchezza, apatia e reale sonnolenza e per i clinici distinguere l’ effetto iatrogeno dei farmaci dai sintomi indotti dalle apnee in sonno. Inoltre spesso questi pazienti vivono in una condizione di isolamento sociale tale per cui russamento e/o pause respiratorie in sonno non sono un dato anamnestico disponibile. L’utilità dei classici test di screening nei pazienti psicotici non è stata ad oggi adeguatamente investigata, anche se alcuni autori suggeriscono che un disturbo respiratorio debba essere attivamente indagato in presenza di una circonferenza del collo superiore a 40 cm, un BMI superiore a 25, specialmente in soggetti di sesso maschile e di età superiore a 50 anni, indipendentemente dalla presenza di altri sintomi/segni.
Anche il trattamento può essere di più complessa gestione in questi pazienti, l’adattamento alla CPAP può richiedere tempi più lunghi e personale specializzato o per lo meno più attento e disponibile rispetto alle problematiche che questi pazienti pongono, e nel comprendere e gestire gli eventuali motivi di una non-adeguata compliance.
Ipersonnie
L’ipersonnolenza nei pazienti psicotici è spesso secondaria alla terapia antipsicotica. Tra i farmaci più frequentemente implicati troviamo la Clozapina, seguita da Olanzapina, Quetiapina e derivati fenotiazinici come la Promazina o la Clorpromazina e dipenzotiapine come la Clotiapina. Tuttavia, quale sia la reale prevalenza con cui si manifesta questa forma di ipersonnia non è noto. In diagnosi differenziale va sempre considerato, in seconda istanza, un abuso alcolico o di sostanze stupefacenti sedative.
L’eccessiva sonnolenza diurna secondaria alla terapia può essere gestita, ove possible, passando a farmaci antipsicotici con minore effetto sedatico come l’Aripiprazolo, lo Ziprasidone, l’Aloperidolo o il Risperidone, e/o modificando il dosaggio e l’orario di somministrazione, e rivalutando sempre il bilancio costo/beneficio di eventuali altri farmaci assunti, quali benzodiazepine e stabilizzanti dell’umore.
L’associazione tra psicosi e narcolessia è rara, nonostante un legame sia stato spesso suggerito in letteratura, sia per popolazioni adulte, sia per popolazioni pediatriche. Tuttavia, i dati sono controversi, e mostrano una prevalenza variabile tra l’1 ed il 10%. Un recente studio condotto su due ampie corrti europee di oltre 500 pazienti adulti affetti da Narcolessia tipo 1 ha mostrato una prevalenza di sintomi psicotici simil-schizofreniformi di circa l’1.8% dei soggetti narcolettici. Sintomi psicotici nei pazienti narcolettici potrebbero essere causati dalla terapia stimolante usata per curare la narcolessia, ma tale effetto collaterale è stato descritto molto raramente e solo per terapie protratti a dosaggi molto alti. Allucinazioni ipnagogiche/ipnopompiche, specialmente se associate a importante ipersonnia, paralisi del sonno e obesità possono rendere la diagnosi differenziale molto complessa, rendondo quindi spuria quest’associazione. Di contro, la psicosi è stata spesso assimilata ad uno stato pseudo-oniroide, e benchè la l’ipotesi di intrusioni di sonno REM in veglia in soggetti psicotici sia stata da lungo tempo avvallata, non si può escludere che possano essere implicate vie patogenetiche affini, quali una alterata connettività talamo-corticale, spesso chiamata in causa sia nella schizofrenia, sia per il sonno REM, rendendo plausibile l’ipotesi di una reale associazione.
La questione di questa possibile interazione diagnostica, sebbene rara, è particolarmente delicata. La mancata diagnosi di narcolessia in un paziente con sintomi psicotici può portare a classificare questi pazienti come farmaco-resistenti, facendoli entrare in un loop di trattamenti destinati ad essere inefficaci ed anzi dannosi. In rari casi di vera comorbidità il trattamento è particolarmente complesso e la prognosi scarsa, in quanto gli psicostimolanti possono aggravare i sintomi psicotici e non essere completamente efficaci, mentre gli antipsicotici possono peggiorare la sonnolenza.
Disturbi del ritmo circadiano
Molti studi actigrafici hanno mostrato la presenza di significative alterazioni del ritmo circadiano in pazienti schizofrenici, dal disturbo del ritmo irregolare, alla sindrome delle non-24 ore, alla posticipazione o in minor misura l’anticipazione di fase. Un minor numero di studi ha anche confermato questa osservazione tramite il dosaggio della melatonina salivare ed ha suggerito livelli ridotti di melatonina e/o una compromissione della sua azione di promozione del sonno.
L’alterazione del ritmo circadiano nei pazienti schizofrenici è stata ripetutamente associata a svariate misure di funzionamento globale e cognitivo e anche con la severità di sintomi psicotici attenuati nei pazienti ad alto rischio per psicosi/in fase prodromica.
L’alterazione del ritmo circadiano potrebbe essere una semplice conseguenza dello stile di vita di questi pazienti ed a fattori comportamentali secondari agli altri sintomi caratteristici dei disturbi psicotici. A ciò potrebbe contribuire anche una riduzione delle vigilanza diurna causata da una terapia antipsicotica troppo sedativa. Tuttavia, alterazioni del ritmo circadiano sono state evidenziate anche prima dell’insorgenza di un disturbo conclamato, prima dell’introduzione di una farmaco-terapia. Inoltre, una desincronizzazione del ritmo circadiano è stata riscontrata anche in pazienti schizofrenici in pieno controllo sintomatologico e la cui routine non differiva da quella di controlli sani disoccupati. Inoltre, alcuni studi genetici, hanno suggerito il possibile contributo di geni implicati nella regolazione del ritmo-sonno veglia nel variegato quadro multifattoriale che è alla base dello sviluppo della schizofrenia.
Nonostante la quantità rilevante di studi volta a indagare i disturbi circadiani nella schizofrenia, poco si sa rispetto all’efficacia di strategie di intervento cronoterapiche e alla eventuale necessità di adattare i protocolli conosciuti alle specifiche esigenze di questi soggetti. Esiste qualche evidenza aneddotica che suggerisce un diverso impatto di diverse molecule antipsicotiche sul ritmo circadiano dei pazienti, secondo cui i pazienti trattati con clozapine avrebbero un ritmo circadiano molto più regolare di pazienti trattati con antipsicotici di prima generazione come l’Aloperidolo o il Flupentixolo. A spiegazione di questa osservazione è stata chiamata in causa l’azione recettoriale ad ampio spettro della Clozapina, in particolare sui recettori D4 e 5HT del nucleo soprachiasmatico.
Parasonnie
Quattro classi di farmaci, comunemente usati nella pratica clinica, sono stati associati ad una maggiore incidenza di episodi di parasonnia nonREM: 1) le benzodiazepin e altri modulatori gabaergici come le Z-drugs; 2) farmaci antidepressivi; 3) β-bloccanti e 4) i farmaci antipsicotici. Bechè l’associazione più forte sia quella tra Zolpidem e sonnambulismo (compresi casi di sleep driving e di alimentazione in sonno), due antipsicotici atipici, tra cui Olanzapine e Quetiapina, e diversi farmaci antipsicotici di prima generazione, come la Perfenazina, la Tioridazina ed il Clorprotixene sono stati associati a sonnambulismo.
Una diagnosi differenziale da tenere presente è il disturbo da alimentazione notturna in stato di veglia, che è stato riportato frequentemente in pazienti psicotici obesi, specialmente in associazione a insonnia e depressione. Dal momento che queste forme sono iatrogene, ove possibile, va fatto sempre un bilancio costo-beneficio del trattamento per ogni singolo paziente.
Mentre è stata segnalata una maggiore prevalenza di mancata atonia in sonno REM (fino al 12%) non associata a RBD conclamato con antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, questa associazione è meno chiara e molto più sporadica con gli antipsicotici.
Il disturbo da incubi notturni sembra essere più frequente nei pazienti psicotici ed è associato ad una ridotta qualità del riposo notturno ed a maggiori difficoltà diurne.
Disturbi del movimento in sonno
Nei pazienti affetti da schizofrenia, la diagnosi di sindrome delle gambe senza risposo può porre problemi particolari, quali l’inclusone dei sintomi sensori-motori all’interno del sistema delirante (“le gambe si muovono da sole, sono comandate da un robot”) e la diagnosi differenziale con l’acatisia indotta dai farmaci antipsicotici. In supporto di una diagnosi di una diagnosi di sindrome delle gambe senza riposo vi è la presenza di fastidio alle gambe più prominente o esclusivamente alla sera o in condizioni di riposo ed un più marcato impatto sull’addormentamento e sulla continuità ipnica.
La sindrome delle gambe senza riposo nei soggetti psicotici si assicia a una maggiore incidenza di insonnia, ansia e depressione, queste ultime probabilmente secondarie ad una riduzione della quantità e qualità del sonno. Casi clinici sporadici hanno suggerito che la sindrome delle gambe senza riposo, quando comparsa subito dopo l’introduzione di una terapia antipsicotica (specialmente se a base di Olanzapina o Quetiapina), scompare rapidamente alla sospensione della terapia stessa. Tuttavia, non può essere escluso un bias relativo alla pubblicazione dei soli casi in cui questa misura è stata efficace. Uno studio condotto su 183 pazienti ha mostrato un netto incremento dell’incidenza e prevalenza di sindrome delle gambe senza riposo nei pazienti schizofrenici (rispettivamente 21.4 e 47.8% versus 9.3 e 19.4%). Tuttavia qusto studio non è riuscito a mettere in luce una significativa differenza tra pazienti con e senza diagnosi di sindrome delle gambe senza riposo in termini di diverse variabili quali età, durata di malattia, esposizione cumulativa a molecole antipsicotiche, e dosaggio equivalente di farmaco antipsicotico assunto. Inoltre, secondo un altro studio su 52 pazienti psicotici con sindrome delle gambe senza riposo in comorbidità, solo una piccola percentuale sembra avere un significativo incremento dell’indice di movimenti periodici degli arti inferiori, suggerendo o una difficoltà di diagnosi differenziale o la possibilità che esista un fenotipo differente di sindrome delle gambe senza riposo, con una ezio-patogenesi potenzialmente non completamente sovrapponibile alla forma “classica”.
Dal momento che la terapia antipsicotica non può quasi mai essere presa in considerazione, e dal momento che non è noto se alcuni antipsicotici abbiano un profilo più favorevole di altri sotto questo aspetto, i sintomi dovrebbero essere trattati (dopo il dosaggio e l’eventuale integrazione dello stato marziale) con gabapentin o pregabalin, per i quali esistono alcune evidenze positive, anche se ad oggi esigue. In considerazione dell’effetto metabolico negativo e sinergico tra alfa2delta-ligandi e antipsicotici, molecole antipsicotiche a minore impatto metabolico dovrebbero essere preferite, ove possibile. Se in terapia si rende necessaria una benzodiazepina, il clonazepam potrebbe essere una valida opzione.
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Approfondimenti utili all’interno del sito: