Demoni, streghe e fantasmi che popolano le paralisi del sonno
“Non si vedeva niente, non si sentiva niente; ma mi parve che una mano soprannaturale mi stringesse la mano. Il mio braccio pendeva lungo la coperta, e la forma o fantasima silenziosa, indefinibile, inimmaginabile a cui apparteneva la mano pareva sedermi vicino sulla sponda del letto. Per ciò che mi parve una durata di secoli e secoli stetti così, agghiacciato dalle paure più tremende, e non osavo ritirare la mano, eppure pensavo continuamente che, solo a poterla muovere di un pollice appena, l’orribile incantesimo si sarebbe spezzato”.
Così racconta Ishmael, nel Moby Dick di Melville. Descrive un fenomeno molto comune associato al sonno, o meglio al risveglio dal sonno. Si tratta della descrizione di una paralisi del sonno.
In tutte le culture ci sono descrizioni simili. Più o meno condite di sovrannaturale e di presenza demoniache o, più semplicemente, terrifiche. Nell’isola di Terranova è la Old Hag, una strega che assale chi dorme, lasciandolo incapace di gridare o reagire. Nella cultura degli Inuit, si chiama Uqumangirniq (o Aqtuqsinniq), uno spirito malvagio che cerca di impossessarsi del corpo di una persona che dorme. In Giappone, il Kanashibari, la pressione sul petto da parte di uno spirito. In Italia, ci sono addirittura varianti regionali: in Sardegna, S’Ammutadori (anche ammuntadore, muntadori, mutarolla, su garriatore), Munacieddu (o munachieddu) in Campania, Pandafeche (o pantafa) nelle Marche-Abruzzo-Umbria.
La prima descrizione rintracciabile risale al 400 A.C., in un libro cinese sui sogni. Più tardi, circa nel 200 D.C., Galeno si era posto il problema di identificarne le cause. I resoconti medioevali sono pieni di descrizioni di fenomeni simili, spesso associati ai processi per stregoneria. Dei colleghi iraniani dell’Università di Tabriz, Iran, insieme a dei colleghi Azeri dell’Università di Baku, hanno attribuito alla cultura persiana intorno all’anno 1000 la prima completa descrizione clinica del fenomeno. Al-Akhawayni Bukhari, nel suo trattato di medicina Hidayat al-Muta`allemin Fi al-Tibb, descrive perfettamente il disturbo. Anche se lo riteneva una conseguenza dell’epilessia, contribuisce a far uscire l’esperienza terrifica dall’alone di sovrannaturale che lo accompagnava.
Nel 1781, il pittore svizzero Johann Heinrich Füssli ci ha lasciato la più famosa opera che descrive la paralisi del sonno. Nell’Incubo una giovane donna addormentata ha un mostro che le grava sul petto e il volto di una giumenta affacciato dalla tenda dello sfondo. Significativamente, lo stesso termine “incubo” deriva dal latino incŭbus «essere che giace sul dormiente» (incubare «giacere sopra»). Anche se il termine corre il rischio di indurre confusione, dal momento che gli incubi propriamente detti (nell’accezione del pavor nocturnus o del nightmare) sono fenomeni diversi dalla paralisi del sonno.
Ai giorni nostri, una film maker, Carla MacKinnon, e uno psicologo, Cristopher French, hanno anche realizzato un cortometraggio “Devil In The Room”, all’interno di un progetto finalizzato a spiegare e a cercare di ridurre il terrore di questa esperienza. Invece, Nicolas Bruno, che soffre di paralisi del sonno, ha fatto Arte del suo problema, iniziando una carriera pittorica in cui descrive le sue allucinazioni.
Credenze popolari, letteratura, pittura presentano, comunque, un fenomeno i cui tratti sono comuni: una condizione di semi-coscienza, accompagnata da sensazione di soffocamento da completa incapacità a muovere un solo muscolo e accompagnata da visioni allucinatorie. Per esempio la pandafeche del centro-Italia è la visione di una figura spettrale collocata al fianco o al di sopra dei chi dorme. E’ raffigurata come una figura vestita di bianco, dagli occhi demoniaci e un muso lungo e appuntito, con il quale procura delle ferite. La vittima non riesce a svegliarsi completamente, né a girarsi o invocare aiuto. Questo ultimo aspetto aggiunge un elemento ulteriore alla natura terrifica dell’esperienza. La paralisi motoria è così completa che non si riesce neanche ad articolare suono per invocare aiuto (in realtà, c’è un’eccezione ed è rappresentata dalla possibilità mantenuta di muovere gli occhi).
La paralisi del sonno è una delle numerose parasonnie, un’ampia classe di disturbi che si presentano in associazione con il sonno. Possono presentarsi durante l’addormentamento, durante specifiche fasi del sonno (REM e NREM) e al risveglio. La paralisi del sonno è, quindi, una parasonnia del risveglio.
Si presenta come un’esperienza angosciosa nella quale ci si sveglia apparentemente, cioè si acquisisce una qualche consapevolezza di essere svegli. Nonostante questa consapevolezza, si sperimenta la completa incapacità di contrarre un qualsiasi muscolo (ad eccezione di quelli extra-oculari).
Non è così strano che, quindi, anche la respirazione diventi faticosa e difficile, tendendo a generare la sensazione di una grande oppressione al petto. Quasi sempre, la paralisi del sonno è accompagnata da allucinazioni.
Si chiamano allucinazioni ipnopompiche (allucinazioni del risveglio, contrapposte alle cosiddette allucinazioni ipnagogiche, che si verificano in fase di addormentamento). La perdita del controllo dell’attività muscolare (e, quindi, anche la conseguente sensazione di soffocamento) e le allucinazioni sono, evidentemente, fenomeni davvero inconsueti per chiunque.
Non è per niente sorprendente che nei secoli si sia cercato, comunque, di ricondurli a una sorta di “spiegazione” unitaria. Qualcosa che vediamo (allucinatoriamente) grava sul nostro petto fino a quasi soffocarci. Che poi siano diventate vecchie streghe, spiriti burloni o demoni rappresenta solo una variante della cultura e della religione in cui si è vissuti. Non a caso, in tempi di più diffusa laicità, i demoni e le streghe a volte diventano gli extraterrestri.
Nella realtà, il fenomeno è addirittura banale. Si tratta di parziali risvegli dalla fase REM del sonno. Una fase che, tra le altre cose, è caratterizzata da assenza di tono muscolare (quindi, paralisi) e da una frequente associazione con l’esperienza allucinatoria del sogno.
Quello che potrebbe essere chiamato un “incerto confine tra sonno e veglia”. Nel sonno, aspetti fondamentali del nostro funzionamento -per ovvie ragioni- si modificano. Questo riguarda, tra gli altri, respirazione, attività cognitiva, stato della muscolatura. Il ritorno alla veglia dovrebbe essere caratterizzato dal rispristino immediato del funzionamento usuale da svegli.
Ci possono essere dei piccoli ritardi in questo ripristino del funzionamento diurno. Tutti, con diversa intensità e frequenza, abbiamo sperimentato il fenomeno dell’inerzia del sonno, cioè il decrementato funzionamento nei primi minuti appena successivi al nostro risveglio. Ma, in questo caso, il solo-parziale ripristino delle funzioni tipiche della veglia determina solo una diminuita efficienza nelle diverse attività fisiche o mentali. Nel caso della paralisi del sonno, la dissociazione è più marcata. Si potrebbe dire che c’è uno stato della coscienza che ci fa sentire svegli, mentre il nostro corpo e la nostra mente manifestano ancora alcune caratteristiche dalla fase REM del sonno.
A qualcuno forse non farà piacere che un fenomeno inesplicabile come la paralisi del sonno perda l’aura di mistero che lo ha accompagnato per secoli. Continuo a pensare che dovrebbe essere proprio il contrario.
Quello che la ricerca scientifica sul sonno ci restituisce è un cervello che, anche durante il sonno, svolge attività diverse, non sempre finalizzate o adattive. In altra occasione, parlando del confine tra sonno e veglia, raccontavo dei sonnambuli e sono ricorso alla metafora dell’orchestra, cercando di spiegare la complessità di “orchestrare” correttamente un cervello e le sue diverse aree nel produrre e mantenere un sonno normale. Nel caso della paralisi del sonno, si tratta di alcuni musicisti che sbagliano tempi ed esecuzione, continuando ancora a suonare quando la sinfonia è terminata. In ogni caso, il fenomeno -anche per chi ne soffre- è molto sporadico e termina in un tempo molto breve. Anche per questo, nella maggior parte dei casi, non è necessario uno specifico approccio, clinico o farmacologico, al problema.
Ho cominciato con Moby Dick di Melville e mi piace concludere con I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, in cui è stato recentemente rintracciata un’altra efficace descrizione del nostro fenomeno.
Continuavano a battere. Ivan fece per lanciarsi verso la finestra, ma qualcosa gli bloccò mani e piedi. Compì ogni sforzo per rompere quelle catene, ma invano. I colpi alla finestra si facevano sempre più forti. Alla fine le catene si ruppero e Ivan Fëdoroviè saltò in piedi dal divano. Egli si guardò intorno selvaggiamente. Entrambe le candele si erano quasi consumate, il bicchiere che aveva scagliato contro l’ospite stava davanti a lui sul tavolo e sul divano non c’era nessuno. I colpi alla finestra continuavano insistenti, ma non così rumorosi come gli era sembrato in sogno: al contrario, piuttosto contenuti.
«Questo non è un sogno! No, giuro, non è stato un sogno, è tutto accaduto davvero!», gridava Ivan Fëdoroviè, poi si slanciò verso la finestra e aprì lo sportellino in alto.
Luigi De Gennaro, comitato editoriale AIMS
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